domenica 31 ottobre 2010

Ana Kapor - Misteri Sublimi di un viaggio












Andria (BA) - dal 31 ottobre al 31 dicembre 2010
Ana Kapor - Misteri Sublimi di un viaggio

CENTRO CULTURALE LE MUSE
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Via Giovanni Giolitti 10 (70031)
+39 0883558136 , +39 0883557119 (fax), +39 3389810995
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Ana Kapor da sempre concentrata su architetture solitarie, dipinge paesaggi metafisici di una bellezza preziosa e raffinata.
orario: giorni feriali ore 18,00 – 21,00 ; festivi ore 10,30 – 13,00; 18,00 – 21,00
(possono variare, verificare sempre via telefono)

vernissage: 31 ottobre 2010. ore 11
catalogo: in mostra
curatori: Rosaria Fabrizio
autori: Ana Kapor
genere: arte contemporanea, personale
email: eventi@lagalleriachevorrei.it
web: www.lagalleriachevorrei.it


ANA KAPOR
MISTERI SUBLIMI DI UN VIAGGIO


Era un giovane bello e intelligente, la vita era stata molto generosa con lui e niente gli mancava. Si mostrava sempre sicuro di sé e tutte le sfide vinte erano oggetto di vanto. Ma in quell’inverno così rigido e pesante nulla era di riparo per lui. Un giorno di quella fredda stagione, camminava ramingo per le vie del centro. Il vento gelido e penetrante soffiava forte, oltrepassava i vestiti, scivolava sulla pelle, si insinuava nelle ossa, fino a ghiacciare l’anima. C'era qualcosa che lo inquietava e lo turbava più del solito. I suoi mille pensieri non riuscivano a consolarlo, né a rispondere alle infinite domande che lo tormentavano.
Incalzò il passo tra le strade, fino a scorgere di sorpresa una viuzza. Gli parve di non averla mai vista prima. Scavò nei meandri della memoria, ma gli appariva come nuova, come sorta magicamente solo per lui, in quel giorno in cui non sapeva dove andare. Imboccò la piccola via e continuò a camminare svelto, come avesse urgenza di arrivare ad una destinazione che pur ignorava esistesse. Ad un tratto, girato l’angolo, passò accanto ad una bottega piccina piccina, di quelle che rammentano altri tempi. L’uscio era minuscolo, ma si intravedeva bene l'interno. Un’immagine repentina destò in maniera del tutto inconsapevole la sua attenzione. Un uomo mingherlino, dalla barba lunga e canuta pari ai suoi capelli era intento a scrivere su un taccuino, assorto in meditazione, curvo sulla scrivania. I suoi vestiti erano logori. Doveva indossarli da molto tempo ormai, eppure l’aspetto era distinto e raffinato. Il buio all’interno della bottega ne celava il contenuto, ma un angolo brillava di luce propria. Appeso alle pareti, come un faro chiaro e fulgente, attirava lo sguardo un quadro dalle piccole dimensioni che racchiudeva uno scenario incantevole. Colori tenui, atmosfera delicata. Non conosceva quel quadro né il luogo remoto che rappresentava, eppure in un colpo solo ogni cosa gli parve familiare.

All’improvviso, una forza misteriosa e sconosciuta lo afferrò per il bavero. Fu spinto, trascinato, risucchiato. Dileguate tutte le sue membra, leggero come l’aria, si ritrovò d’incanto in un mondo altro. Smarrito, s'aggrappò ai suoi pensieri che non vollero dargli spiegazioni. Si guardò intorno stupito per quello che gli stava accadendo e meravigliato di trovarsi in un luogo paradisiaco. Immediatamente la sua incredulità si chetò e la vista di quel luogo così incantato lo rasserenò all’istante. I suoi sensi iniziarono a sussultare. Gli occhi gioivano e il cuore era sereno. Dolci colline mediterranee allietavano il paesaggio, il cielo era terso, l’acqua tanto limpida da rispecchiarsi dentro. In lontananza una fortezza maestosa e austera, dalle linee pur tuttavia delicate ed oniriche, cipressi in filare. La semplicità di quella scena dal sapore medievale era criptica ma idilliaca. Tutto era in perfetto equilibrio, l'armonia era sovrana. Ogni dettaglio al giusto posto.
Provò ad incamminarsi seguendo il percorso delle colline e udì una musica carezzevole, invitante. In lontananza l’eremo pareva chiamarlo e lui rispondergli con una poesia d’altri tempi :

O saldo nido d’aquila, io solo devoto risalgo
a l’alto rifugio regale.
Un vasto regno ascondi ne’ blandi misteri e ne l’ombre:
io viver so nel tuo regno.

Nel mondo tuo mi chiudo, fra i tuoi tricolùnni ellenici;
mi sùscita intorno fantásime
da le tue porte rosee moventi con passo leggero;
parlare con esse saprò.

Forse verranno pàvide figure di vergini bianche
d’amore eternate nel sogno?
Forse verrà la corte in àgil costume leggiadro
già pronta a la caccia al falcone?

O forse paggi pallidi dal trepido cor sospiranti,
o pur cavalieri perduti
in un sogno di gloria, di lor sirventesi al richiamo
verranno in carrozze d’argento? (1)


“Signore, signore cosa desidera?” si sentì di colpo strattonare bruscamente un braccio. Come appena desto, si trovò davanti il vecchio che lo scuoteva. La lingua secca e incollata non riusciva a tradurre i pensieri confusi e intrecciati che gli soverchiavano in testa. “Sta bene signore? Cosa desidera?” ripeté il vecchio che se l’era trovato dinanzi in trance per lunghi minuti. La voce dell’anziano signore era calda, e sebbene affannata, non sembrava affatto turbata dall’evento. Mentre lui era frastornato, colto da capogiri e per la prima volta muto. Lui, lui cultore di dialettica, lui che aveva la frase giusta per ogni occasione, in quel preciso istante, davanti ad un vecchio e ad un piccolo quadro si ritrovava spaesato, smarrito.
“Niente, niente… tutto bene” farfugliò confuso e senza nemmeno salutare andò via.

Passarono lunghi giorni, e la mente del giovane ritornava sovente al quadro. Erano momenti in cui si sentiva sospeso, come se le ore smettessero di colpo di susseguirsi. Una sera tornando a casa, stanco e provato dalle fatiche del giorno, avvertì l’urgente bisogno di ripassare per quel luogo.
“Buona sera! - disse al proprietario della bottega - Posso entrare?” Il vecchio alzò per un attimo lo sguardo. Sembrò accennare un sorriso, come se si fosse aspettato il suo ritorno. “Se vuole…” rispose laconico.
Il giovane allora salì i gradini dell’entrata e senza curarsi di ciò che stava intorno, si indirizzò dritto a quel piccolo quadro appeso sempre alla solita parete. Lo fissò, lo scrutò attentamente. Chinò la testa pensando e sospirando si interrogò. Ma non capiva, non capiva proprio. Fece per voltarsi, fissò il vecchio che continuava a scrivere per nulla scomposto dalla sua presenza e ritornò a guardare. Non si pose più domande, ma si lasciò cullare dal turbinio di sensazioni ed emozioni. Ed ecco che si sentì di nuovo rapito da una forza strana e travolgente e si ritrovò in una delle dimensioni del quadro.
In lontananza il panorama era sublime. Il segreto e il mistero celati dietro quell’isola di pace lo catturavano e gli suggerivano di avvicinarsi, come se fosse attratto da una forza magnetica. L’aria era trasparente e serena e un profumo etereo l’inondava tutta. Gli azzurri del cielo e delle acque avevano un tono così brillante e intenso e la terra ocra rimembrava le calde sponde dell’adriatico. Un’asta era appoggiata all’ingresso del castello e un trabattello le faceva da contrappunto. La sua anima smise di altalenare e si pose nel centro esatto dove si ha la giusta prospettiva delle cose. L’unicità del soggetto catturava e il suo desiderio più ambito era quello di entrarci. D’un tratto qualcuno recitò per lui :
“La vita è un'isola in un oceano di solitudine: le sue scogliere sono le speranze, i suoi alberi sono i sogni, i suoi fiori sono la vita solitaria, i suoi ruscelli sono la sete. La vostra vita, uomini, miei simili, è un'isola, distaccata da ogni altra isola. Non importa quante siano le navi che lasciano le vostre spiagge per altri climi, non importa quante siano le flotte che toccano le vostre coste: rimanete isole, ognuna per proprio conto, a soffrire le trafitture della solitudine e sospirare la felicità.[…]
La tua vita, fratello mio, è una dimora solitaria, separata dalle dimore degli altri uomini. E' una casa nel cui interno non può spingersi lo sguardo del vicino. […]La vita del tuo spirito, fratello mio, è avvolta dalla solitudine; se non fosse per questa solitudine, tu non saresti tu, e io non sarei io. Non fosse per questa solitudine, crederei forse, udendo la tua voce, di sentire la mia stessa voce; vedendo il tuo volto, crederei di vedere me stesso in uno specchio.” (2)


Di colpo avvertì di essere ritornato nel suo mondo, con accanto il vecchio signore.
“Cosa le posso dare per avere in cambio questo capolavoro di Ana Kapor?” gli chiese repentino il giovane.
“Niente!” rispose il vecchio.
“Ma io sono disposto a darle tutto ciò che desidera.” continuò imperterrito il giovane.
“Lo ho già!” rispose secco l’altro e chinato il capo per nulla scosso dalla richiesta continuò imperterrito a vergare quelle interminabili pagine bianche con una scrittura indecifrabile.
Il giovane allora incredulo e furente, girò i tacchi senza proferire parola alcuna ed andò via stizzito. “Come si può rifiutare una simile offerta!!!” penso tra sé.

Dopo tale affronto il giovane non volle più passare per quelle strade e continuò la sua vita di sempre. Passarono i giorni, i mesi, gli anni e le stagioni si susseguivano come sempre. Eppure qualcosa gli mancava. Nulla di particolarmente grave era accaduto nella sua vita, eppure l’infelicità e l’insoddisfazione lo assalivano sovente. Dubbi, incertezze sul cammino da seguire. Uno strano senso di angoscia lo pervadeva e solo il ricordo del quadro in qualche modo leniva il suo malessere. Cercava di ricordarsi i dettagli, di rivivere le sensazioni, ma soprattutto di comprendere la fonte della magia di quel quadro. Iniziò a fare ricerche, a collezionare frammenti che gli permettessero di comprendere. Ma non trovava risposta e un giorno abbandonato su una panchina, gli arrivò da lontano l’eco di una canzone :


[…] Resisterò andando incontro al piacere,
ascoltando il respiro, trattenendo il calore
su un'altra forma d'onda intonerò il mio pensiero.
Ho camminato girando a vuoto
senza nessuna direzione,
mi tiene immobile nei limiti
l'ossessione dell'Io.

Mi ritrovai seduto su una panchina
al sole di febbraio
un magico pomeriggio dai riflessi d'oro
e mi svegliai con l'aria di pioggia recente
che aveva lasciato frammenti di gioia. (3)


Quel giorno il cuore gli piangeva forte, decise allora di passare per la strada che per così tanti anni aveva disertato.
Entrò nella viuzza. Vide la bottega, scrutò dentro. La scrivania solitaria. Vuota era anche la bottega e spoglia. Alle pareti non più il quadro che tanto l’aveva ossessionato. Distante dall’ingresso, attese un po’. Poi avvertì all’interno un movimento. Una creatura meravigliosa, una fanciulla bellissima dal viso candido e dai lunghi capelli corvini riponeva delicatamente in una cassapanca le poche suppellettili ancora presenti.
Il giovane di una volta, incuriosito si avvicinò, si fece coraggio ed entrò.
“Desidera?” disse la ragazza con voce angelica.
“Cerco….” rispose lui titubante.
“Mio nonno è partito per il suo lungo viaggio” sorrise la fanciulla e ritornò a sbrigare le sue faccende.
Il giovane le girò le spalle e fece per andarsene, quando si sentì chiamare. Si voltò e vide la ragazza che aveva un pacchetto tra le mani.
“Questo è per lei! E’ da parte di mio nonno.” esclamò.
Attonito lui la guardò e parve dirle che si sbagliava, che quel dono non poteva essere per lui. Lei sorrise di nuovo e riprese sottovoce : “ Mio nonno, prima di addormentarsi per sempre, mi ha detto che sarebbe passato in bottega qualcuno con una luce particolare nello sguardo, che l’avrei riconosciuto di sicuro e gli avrei dovuto dare questo.” Gli porse dolcemente il dono e lui se ne andò incredulo, sconcertato.

La curiosità era tanta, ma aveva imparato ad assaporare ogni istante e preferì scartare il regalo a casa sua, nel suo rifugio personale, nella sua fortezza solitaria. E quale contentezza quando ne scoprì finalmente il contenuto.
Aveva lasciato un angolo vuoto alle pareti di casa sua e in quel posto preciso appese il quadro, oggetto dei suoi desideri, dono inatteso, mistero da celare, verità nascosta. Rimase immobile davanti ad esso per un tempo indefinito.
Stanco e felice si adagiò sul divano con il quadro davanti. Si lasciò andare, pose la testa sul bracciolo, sorrise e si addormentò.
Una musica soave lo blandiva. Finalmente poté risentire quella dolce atmosfera. Era dentro il rifugio segreto. Si sentì chiamare per nome ed udì:

L'immagine nella mente
si fa roccia, la roccia mattone,
e il mattone cerchio, quadrato...
ottagono: forma che muta
veglia sul cielo e sulla terra.
Due ali, un petalo di vento,
un sorriso: il più bello.
Creatura che di sola notte vestita
leggera si aggroviglia a teneri pensieri.
Batte quest'anima più limpida
del chiarore lunare...
pioggia di flebili sussurri...
guardiana senza respiro.
Una stella muore in quegli occhi,
mentre tutto suona a silenzio. (4)

Da lontano, a far capolino dietro la balaustra, una barba folta, lunga e canuta.

NOTE

Nota 1. Frammento di una delle liriche di Pasquale Cáfaro (Andria, 1876 – Andria, 1970) dedicate a Castel del Monte dal titolo L’attesa. Tratto da “Pasquale Cáfaro L’uomo, il poeta, lo storico Raccolta di versi e scritti”, promossa dal Rotary Club di Trani e curata da Pietro Petrarolo.
Edizione fuori commercio realizzata dalla Banca Popolare Andriese, 1985”.

Nota 2. Stralcio di La Vita tratto da “La Voce del Maestro”, scritto da Khalil Gibran (Bsharri, Libano1883 – New York 1931).

Nota 3. Frammento della canzone di Franco Battiato dal titolo Fortezza Bastiani, presente nell’album “X Stratagemmi” del 2004.

Nota 4. La poesia, intitolata Sul Mutuo Silenzio, è stata scritta nel marzo 2010 dal poeta andriese Francesco Di Niccolo. Il poeta ha voluto dedicare ad Ana Kapor queste soavi parole, ispirato da una delle sue rappresentazione su Castel del Monte, fortezza che la Kapor ha dipinto da sempre, senza averla mai veduta, come richiamata da un mistero atavico, lo stesso che avvolge il castello e lo avvolgerà nei secoli perenni. Con questa mostra a lei dedica l’artista ha l’occasione finalmente di avvicinarsi al suo castello tanto desiderato e sognato.


1 commento:

  1. Il racconto fantastico è stato scritto da Rosaria Fabrizio e pubblicato nel catalogo Ana Kapor. Misteri Sublimi di un Viaggio

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