martedì 10 marzo 2009

NEROCUBO PER NON VEDERE TUTTO NERO

NEROCUBO PER NON VEDERE TUTTO NERO

Nella Valle dell’Adige svetta un nuovissimo quattro stelle: il Nerocubohotel di Rovereto, dimora temporanea per tutti gli ospiti curiosi. Casa sicura e permanente per otto artisti contemporanei. E soprattutto non il solito art hotel. “Exibart” ne ha parlato con Paolo Pedri, immobiliarista e collezionista. Che gli imprenditori ci stiano dicendo che si può veder nero in senso positivo?

Un hotel innovativo, forziere per opere d’arte. Com’è nato il progetto? Quali sfide avete affrontato?
Già da qualche anno si era manifestata la necessità di incrementare l’offerta ricettiva di Rovereto, specie dopo l’apertura del Mart che, ricordo, riesce ad attirare più di duecentomila visitatori all’anno.

Nerocubohotel non è solo una risposta efficiente all’esigenza di nuovi posti letto, ma ambisce a essere un elemento d’attrazione in quanto tale.
Ci siamo arrivati per gradi ed è stato un crescendo: la sensazione di sentire che hai tra le mani l’opportunità di fare qualcosa di diverso... La sfida è stata quella di riuscire a sviluppare e coniugare tre distinti filoni di ricerca: un progetto architettonico e di interior design; un progetto domotico e di energie rinnovabili; un progetto artistico e culturale.

Il nome dell'hotel è Nerocubo, il volume è un agile parallelepipedo con una “pelle” esterna costituita da singole lastre in fibrocemento color ardesia. Vi siete ispirati al Black cube di Gregor Schneider?
No, le forme e l’architettura sono state ispirate dal contesto e dal paesaggio. Mi piace citare le parole dell’architetto Enrico Ferreguti: “Di fatto, per le modalità di fruizione e visibilità, esso è un edificio senza prospetti, non ci sono infatti le condizioni per una percezione statica, accurata, del complesso, che invece appare come un volume studiato per essere percepito in modo dinamico, con ‘la coda dell’occhio’, in cui gli scorci e l’assemblaggio appaiono attraenti e cangianti in modo inaspettato e reso nel contempo attraente e misterioso dalle deformazioni delle facce e dalla apparente casualità delle finestrature; stretto tra la ferrovia e l’autostrada, esso appare come dinamicamente deformato dalle potenti linee di forza che solcano longitudinalmente il paesaggio, come una roccia plasmata dal vento tesa ad assecondare, e non a opporsi, questi potenti flussi di energia”. La ricerca del nome è invece durata mesi, insieme allo studio di grafica evoq.it, con cui collaboriamo per sviluppare la comunicazione. Non sapevamo cosa volevamo, ma solo cosa non volevamo: nessun riferimento preciso e nessun richiamo diretto a qualcosa che potesse essere tangibile o immaginabile.

Come si legano l'idea di business, la struttura architettonica e la scelta di proporre opere di artisti emergenti all’interno?
È una questione di coerenza di linguaggi. Ci siamo mossi in questa direzione spinti più dalla passione che dal business, anche se le soddisfazioni economiche non dovrebbero mancare. Tutti sono alla ricerca di emozioni, specie se solo per una notte... E confido negli otto artisti: se anche solo uno farà il grande salto, il progetto potrà diventare esso stesso un business.

Qual è stata l’entità dell’investimento?
È un investimento importante, realizzato con il contributo fondamentale degli istituti di credito che credono nel progetto. Le opere sono state tutte acquistate e costituiscono la collezione dell’hotel, diventando così l’investimento nell’investimento.



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